Ancora una volta la Corte di Cassazione si è pronunciata a favore del contribuente in merito al concetto di residenza fiscale sancendo il principio che le relazioni familiari e affettive non hanno rilevanza prioritaria per determinare la residenza fiscale.
Lo ha affermato, come già detto, con la sentenza n. 6501, depositata il 31 marzo 2015, con cui il Giudice di legittimità ha sancito il principio della rilevanza assorbente del luogo in cui la gestione degli interessi vitali viene esercitata abitualmente, stabilendo, di conseguenza, che le relazioni affettive e familiari non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale.
Assume, quindi, rilevanza prioritaria il luogo in cui la gestione degli interessi viene esercitata abitualmente. In tale contesto le relazioni affettive e familiari possono venire in rilievo unitamente ad altri probanti criteri. Dunque, la residenza fiscale deve essere provata dando prevalenza al luogo in cui la gestione degli ‘interessi vitali’ del soggetto sono esercitati ‘abitualmente in modo riconoscibile da terzi’.
Va da sè che il luogo in cui viene esercitata abitualmente la gestione degli interessi vitali del soggetto è prevalente sul luogo in cui ha sede l’attività esercitata con la conseguente inutilizzabilità da parte dell’Ufficio “dei legami affettivi o familiari” come criteri per determinare la residenza fiscale del soggetto.
Inoltre, occorre ricordare, che con la precedentente sentenza numero 20285 del 4 settembre 2013, la Corte di Cassazione si era già espressa a favore del contribuente ritenendo che un contratto di affitto di un immobile all’estero ed il regolare pagamento dei cononi e delle utenze telefoniche costituissero prova sufficiente della sua effettiva residenza all’estero.